mercoledì 19 gennaio 2011

La prima persona di mia conoscenza incontrata in autogrill.


Il 23 dicembre, in autogrill, ho incontrato D’Alema. È successo mentre uscivo dai bagni. Lui era lontano, non è che mi fosse spuntato davanti tutto d’un colpo. L’ho visto avvicinarsi alla cassa chiuso nella sua finanziera nera, alto e bello come un ministro della Repubblica. Certo, non quanto la Carfagna. Non mi sono stupito di vederlo, sapevo che prima o poi sarebbe successo, sapevo che un giorno o l’altro in autogrill avrei finalmente incontrato un volto noto, un viso conosciuto in mezzo a tutta quella gente che va e che viene. No, non mi sono stupito di vederlo. Mi sono stupito perché era solo. L’ho guardato per diverse decine di secondi aspettando che comparissero da qualche parte le sue guardie del corpo, la scorta. E, invece, l’unica scorta che aveva era un panino al salame che si era tirato fuori dalla tasca, bevendo Acqua Panna. Devo ammettere che questo mi colpì molto. Pensai, tuttavia, che poteva darsi – per quanto fosse improbabile – che i suoi bravi lo attendessero all’esterno. Allora mi risolsi ad uscire dall’autogrill un momento per verificare l’eventuale presenza di auto blu, che generalmente sono quelle orribili e bombate Lancia Thesis, talmente brutte che le hanno comprate solo gli enti pubblici. Abbandonai D’Alema al suo sandwich imbottito e cominciai la traversata a serpentina che, in ogni autogrill, precede l’uscita. Oltrepassai i prodotti tipici, i dolcetti Kinder, i giocattoli per bambini, i dischi (l’offerta sull’ultimo di Baglioni) [non sapevo girassero ancora ultimi dischi di Baglioni], la hit parade della letteratura mondiale, e, appena prima dei preservativi, l’ennesimo frigorifero di bevande, pieno di Acqua Panna. Ce la feci, e mi trovai repentinamente catapultato sul piazzale d’asfalto incandescente; ah no, era dicembre: mi trovai repentinamente catapultato sull’algido piazzale dell’autogrill, che a quell’ora del meriggio aveva già assunto il noto odore di cherosene. Ed effettivamente, lì, delle auto blu di D’Alema non c’era alcuna traccia. Feci il giro dell’enorme prefabbricato, e niente. D’Alema era completamente solo, attaccabilissimo. Eh già, per quanto non mi sarebbe mai saltato in mente di lanciargli una miniatura di un trullo (eravamo in Puglia), ammetto che ci pensai: il presidente del Copasir [sigla di stampo fascista che significa Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che sostituisce il vecchio Comitato di controllo sui servizi segreti, ovvero l’organo parlamentare preposto al controllo dei servizi segreti], il Presidente D’Alema era solo ed indifeso in un autogrill. Ammettendo di riuscire a superare la corsia di accelerazione e ad immettersi sull’autostrada, attentare alla vita di D’Alema ora sarebbe una cosa elementare. Un gioco da ragazzi per noi che siamo cresciuti negli anni Settanta. Mi venne allora il dubbio di essermi sbagliato: forse avevo visto male, quello lì non era davvero D’Alema. Mi convinsi che era il caso di rientrare, per sincerarmi dell’identità del mangiatore di panini al salame, e per prendere il mio caffè. Ma quando entrai vidi che una piccola folla si era radunata intorno all’uomo, e dai discorsi che facevano intuii che non poteva trattarsi d’altri che dell’unico rappresentante del vecchio PCI che abbia ricoperto la carica di Presidente del Consiglio, oggi a capo dei capi dei servizi segreti. Poiché io non faccio parte di quel popolino che appena incontra per strada un personaggio della televisione gli si mette alle calcagna per scattare foto e farsi firmare autografi sul biglietto del pedaggio autostradale, assunsi presto un contegno di mite indifferenza nei confronti di quello che stava accadendo alla mia destra; anzi no: doveva essere alla mia sinistra. Mi diressi allora verso la cassa (dove non trovai fila) e pagai la mia consumazione guardando D’Alema solamente con la coda dell’occhio. Porgendo lo scontrino alla barmaid ed ordinando finalmente il mio caffè mi sforzai di non guardare in direzione di quel popolaccio, del quale però potevo perfettamente intendere i discorsi: «Signor Presidente, da quando avete appoggiato la guerra nei Balcani, la mia vita è cambiata!», mentre un altro proponeva una nuova strategia di alleanze che valicasse i confini Nato, spostando alcune pedine in Asia, soprattutto in Cina e in Kamchatka. Decisi di non immischiarmi in quei discorsi, al fine di evitare che l’autogrill si trasformasse in una tribuna politica. No, ma dico io, come si può pensare ancora di concentrare le nostre forze in Kamchatka, mentre c’è l’Alberta che confina con quattro Stati e ci aprirebbe le porte di tutto il Nord America? Il caffè mi fu servito in uno squallido bicchierino di cartone per via dell’ennesima risoluzione dell’Unione Europea, che, dopo aver vietato che lo stoccafisso venisse tagliato in forma quadrata e interdetto l’uso di ciabatte infradito in tutto il territorio di Strasburgo, ha deciso anche che la vecchia tazzina in ceramica, passando di bocca in bocca, fosse un metodo non sufficientemente igienico di consumare al bar, mentre un sano usa-e-getta permette a noi tutti di salvaguardare la nostra igiene orale e la nostra salute dai miliardi di germi malefici che imperversano nei nostri bar, nelle autostrade, soprattutto negli autogrill e nei parlamenti. A quel punto ebbi un moto di antipolitica e, per un impulso che subito trattenni, mi venne voglia di avvicinarmi a D’Alema e versargli il caffè bollente sul viso; anzi no: sul pisello, e lanciargli lo stupido cartoncino (che sarà ormai ben appallottolato nella mia mano destra) nell’occhio, nel sinistro ovviamente, e gridargli: «È questa l’Europa che volete? È questa l’Europa che volete?» Ricordandomi costantemente che io non faccio parte di quel popolino che applaude Di Pietro ad Annozero e continua a dare fastidio a quel pover’uomo di D’Alema, ingurgito svogliatamente il caffè in cartone e decido di andare via; non senza, però, aver prima salutato l’unica persona che conosco che abbia mai incontrato in un autogrill. Con quella sicurezza propria degli uomini brillanti mi avvicinai al buon uomo, e notai che il suo panino era rimasto a metà, nella mano sinistra. Io gli porsi la destra, strinsi la sua e dissi, con voce suadente: «Buongiorno, Presidente!», e andai via.

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