venerdì 21 gennaio 2011

Vi racconto la storia di un popolo Miserabile


C'era una volta un paese chiamato Miserabile. Gli abitanti, i Miserabili, conoscevano a memoria
l'omonimo romanzo di Hugo, amavano mangiare  solo riso e verze e sapevano camminare con le mani. Oltre a queste piacevoli note folkloristiche, che rendevano Miserabile luogo prediletto della villeggiatura di Acrobati e Vegetariani, i Miserabili erano un popolo profondamente depresso, meschino e dedito al malaffare.
Per queste caratteristiche i Miserabili erano pesantemente scherniti dagli abitanti dei paesi vicini e rivali: i Creativi (abitanti di Creativo), i Pensanti (abitanti di Pensiero) e i Retti (abitanti di retto, anche loro non poco vessati dal dileggio altrui). Ai mondiali di calcio del 1090 i giocatori di Miserabile giocarono un'intera partita con dei post-it attaccati alla schiena con sopra scritto "idiota mangiaverze" – nessuno se ne accorse.
In quei cupi anni le piogge tendevano a diminuire e con loro le immense piantagioni di verze, unica linfa alimentare e finanziaria di Miserabile. Il resto dell'economia era devastata dalla malsana tendenza dei miserabili alla poca trasparenza, al favore personale e alla trasgressione delle regole.
Il livello culturale di Miserabile non era mai stato basso come in quegli anni e la capacità cognitiva dei suoi abitanti si era ridotta al punto che la comunicazione consisteva quasi esclusivamente sul batti-cinque (quando si camminava, a mani impegnate, si restava in silenzio). La grande carestia che si abbatté in quei tristi giorni su Miserabile diffuse terrifiche malattie, tra cui: il singultus perennis (singhiozzo perenne) e la orinam nasalis (pipì dal naso) che crearono disfunzioni fisiche intollerabili per gli abitanti, sopratutto per donne, bambini e nasoni. Inoltre agli uomini di Miserabile iniziarono a cadere i peli dal naso, da sempre vanto e simbolo di virilità per la mascolinità Miserabile; ma - cosa ancora più catastrofica - le donne iniziarono a soffrire di iuvenis vagina (vagina infantile), malattia che impedì completamente la pratica sessuale, tranne per rare coppie fortunate (quelle in cui l'uomo fu improvvisamente affetto da membrum nanus, malattia che rese di nuovo miracolosamente possibile la combinazione). L’omosessualità crebbe a livelli smisurati e le donne
Tornarono, meste e represse, alla loro antica preoccupazione: costruire immense insalatiere per la verza.
La disperazione che afflisse in quei giorni gli abitanti di Miserabile fu indescrivibile. Già formidabili scaricabarili e insuperabili pressappochisti, i Miserabili riversarono la rabbia di quegli eventi interamente sulle due figure più carismatiche presenti nel paese: Volpe, famigerato oroscopista e vero demiurgo di ogni singola decisione degli abitanti di Miserabile e il Re di Miserabile, il detestato Re Viagra, padrone delle più grandi industrie verziere del paese nonché presidente della migliore squadra di corridori-a-mano di tutta miserabile.
Ma gli abitanti di miserabile, da sempre ignavi e poco coraggiosi, si limitarono a reprimere la loro rabbia o, tutt’al più , a sfogarla nella visione satellitare dei campionati nazionali di corsa con le mani, di cui erano feroci appassionati. Passarono così anni, tra fame, malattie e campanilismi sportivi e gli abitanti di Miserabile, in cuor loro, aspettavano silenziosi solo che tramontasse la tracotante epoca di Re Viagra che, d’altronde, sembrava prossimo al declino fisico e mentale. Quegli anni il Re lì passo barricato nel suo castello di àrdore; comunicava con i suoi sudditi con brevi e telegrafici messaggi diffusi dai megafoni reali: “Andiamo alla grande”; “Sotto la panza la mazza avanza”; “Sono l’unto del signore”. Tra gli abitanti andavano diffondendosi le più svariate voci. Si diceva che il Re si fosse portato nel castello tutte le donne sane di Miserabile, con le quali stava praticando il torbido rituale reale del bumba bumba; si diceva che i suoi pasti fossero conditi con le più saporite verze del reame e che possedesse addirittura tre nani da giardino umani.
Eppure queste credenze non contribuirono in alcun modo a scatenare una reazione tangibile tra i Miserabili, qualsiasi accenno di scontro era del resto stemperato dai candidati alla successione del re, i quali si affrettavano a precisare che una successione in questo momento storico di crisi e carestia sarebbe stata una catastrofe per Miserabile. La speranza, seppur repressa, permaneva tra gli abitanti e tutti erano, nonostante tutto, convinti che Re Viagra era al termine del suo impero. In quegli anni, tra le strade del paese, echeggiavano conversazioni del genere
“Domani cade”
“Se non domani, dopodomani”
“E’ fritto”
“Lo processeremo sulla pubblica piazza”
“Miserabile tornerà il radioso paese che era una volta”
“Quando?”
“shhh”
“Domani cade”
“Se non domani, dopodomani”
Ma il tempo passava e i messaggi telegrafici del Re non accennavano né a cessare né a cambiare. Fu in quel momento di disperazione apparentemente irreversibile che successe l’impensabile. Un giovane cavaliere omosessuale e dalla zeppola pungente arrivò a sbaragliare tutti i vecchi candidati-successori del re. Sapeva parlare la lingua dei gay, intensamente aumentati a Miserabile in quegli anni, e sapeva usare delle parole arcaiche, ormai dimenticate anche dai più anziani abitanti di Miserabile. Si chiamava Arcobaleno, il cavalier Arcobaleno. I Miserabili  iniziarono allora ad indignarsi: verso Volpe, ormai fuggito sulle spiagge sabbiose di Svetonia, verso Hugo, verso sé stessi, ma soprattutto verso Re Viagra, vero capro espiatorio, a torto o a ragione, della catastrofica situazione di quello sfortunato paese. La rabbia era così intensa, veniva da così lontano, era così profonda, che i Miserabili in un’adunata di piazza del cavalier Arcobaleno iniziarono a tirarsi per i peli del naso e a slacciarsi le scarpe a vicenda. Allora il cavalier Arcobaleno prese la situazione in mano: disse ai Miserabili che non dovevano cedere all’isterismo qualunquisticamente medievalista e dopo una sana battaglia dei cuscini (da lui distribuiti) intimò i miserabili ad assaltare lo spaventoso castello di àrdore. Gli uomini si armarono di forche e picchetti da campeggio e, correndo furiosamente sulle mani, si diressero in gran fretta verso la residenza del re Viagra.
Ma nessuno si sarebbe aspettato quello che sarebbe poi successo. Arrivati lì i Miserabili non trovarono nessuna guardia reale ad ostacolare il loro rabbioso ingresso, varcarono le maestose porte della residenza intorno alla quale regnava il più angosciante dei silenzi. Il cavalier Arcobaleno continuava ad agitare la folla mentre essa infestava le lunghe scalinate e le enormi stanze reali; Il castello era incredibilmente sporco e pieno zeppo di oggetti apparentemente incomprensibili: Pali per  la lap dance, divise da infermiera, giarrettiere e inquietanti arnesi sessuali di vario genere. Per terra bottiglie, avanzi di verze cucinate nelle più sfiziose maniere e preservativi, mucchi di preservativi accumulati ovunque. Nel comprensibile sgomento che li attanagliava i Miserabili si erano fatti seri e silenziosi, entrarono in questo stato nella stanza reale. Ad attenderli non c’era nessuno però, sullo sfarzoso trono reale in fondo alla stanza sedeva una semplice segreteria telefonica, una spia verde era accesa a segnalare la presenza di un nuovo messaggio. Il cavalier arcobaleno si fece allora coraggio, si avvicinò per premere il pulsante, il messaggio recitava così:
“Miei cari sudditi quando ascolterete questo messaggio io sarò probabilmente già a Toronto, Canadà. Che la fregna sia con voi”.
I miserabili – dopo un comprensibile momento di smarrimento – gioirono intensamente alla notizia, inauditi festeggiamenti si tennero nei giorni successivi. Si andò subito alle prime elezioni di Miserabile e il Cavalier Arcobaleno, nemmeno a dirlo, vinse con un quasi plebiscito. Nacque ufficialmente la prima repubblica di Miserabile: il cavalier Arcobaleno spiegò loro come camminare con i piedi e, soprattutto, rivelò ai Miserabili che il Dio creatore (in cui il re arcobaleno credeva con un certo fanatismo) ci ha offerto meravigliosi doni da far nascere dalla terra, molto più buoni e anche meno verdi delle verze. L’economia riprese, i miserabili ora avevano un’alimentazione più sana ed equilibrata, le donne tornarono belle e vigorose, il tasso di omosessualità diminuì e con lui aumentò quello di natalità. La loro era una vera repubblica democratica in cui le libertà fondamentali dell’individuo erano rispettate e venerate. Passarono così, in questa sbornia di felicità e serenità, diversi anni. Sembra questa una fiaba finita bene, di quelle che vogliono il loro sacrosanto lieto fine, ma gli abitanti di miserabile sono da sempre i più imprevedibili esseri mai comparsi sul pianeta.
Una notte, segretamente, tutti si riunirono nella grande piazza del paese, muniti di giganteschi zaini da viaggio e, ritornando a camminare sulle mani, abbandonarono miserabile e il suo presidente Arcobaleno. Egli al suo risveglio ritrovò un paese deserto, scese dalla sua residenza per constatare la situazione. In mezzo alla piazza del paese trovò il vecchio trono reale con sopra la solita segreteria telefonica; allora premette il pulsante e ascoltò sbigottito questo scarno messaggio:
“Noi andiamo in Canadà. Meglio Miserabili che gay”.

Leon Blavatsky

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