mercoledì 2 febbraio 2011

A scuola con Putin


Finalmente segnali rincuoranti arrivano anche dal resto d’Europa. In particolare da un paese moderno, all’avanguardia e amico dell’Italia come la Russia, legato a noi da una profonda affinità culturale, parlerei quasi di una connessione spirituale, un feeling ideologico ed emozionale. Entrambi i paesi, infatti, stanno avviando un sano processo di epurazione della cultura umanistica dalle menti dei loro cittadini-sudditi-zimbelli.
Scenari utopici come quelli delineati da Fahrenheit 451 o 1984 sembrano, dopo lunghi e strenui sforzi, finalmente realizzarsi.
Educazione fisica, “basi della sicurezza nella vita pratica” e “la Russia nel mondo”, saranno queste le uniche tre materie obbligatorie previste nei programmi d’insegnamento superiore, alle quali è assegnato il compito di formare cittadini-sudditi-zimbelli dal fisico sempre più statuario e mastodontico, scaltri, efficenti,  in grado di fronteggiare le insidie della vita quotidiana e soprattutto  ispirati da alti valori patriottici, nel caso si trovino a dover , ad esempio, eliminare qualche giornalista. Tolstoj finalmente può riposare in pace.
Come al solito, anche stavolta l’Italia sembra essere in ritardo e accodarsi un po’ svogliatamente alle nazioni più all’avanguardia, tant’è che da noi pare l’abbiano presa alla larghissima. Certo, i numerosi tagli alla scuola, all’università e alle arti in generale dovrebbero consentire una sostanziale inibizione di tutto ciò che sia cultura; è vero anche che provvedimenti come la creazione dell’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca), in cui è stata scongiurata la presenza di membri referenti dell’area umanistica (oltre che del Sud Italia), mandano un chiaro e confortante messaggio. Siamo, però, sicuri che azioni indirette come queste possano portare a risultati efficaci? E soprattutto, in quanto tempo? Non dimentichiamoci che in una situazione delicata come quella che sta attraversando il nostro paese il risveglio delle coscienze è un nemico sempe in agguato. Bisogna agire con tempestività assoluta.
Per fortuna, possiamo contare sull’appoggio d’intellettuali e personaggi di spicco dell’ormai sparuta intellighenzia italiana, che, invece di far fronte unico con gli esponenti della cultura umanistica, in nome di una diffusione del sapere in cui scienza e umanesimo dovrebbero essere le due facce della stessa medaglia, cavalcano l’ebbrezza dell’anticonformismo e delegittimano, finalmente, la potentissima lobby degli umanisti. Lobby, ricordiamolo, costituita in massima parte dalla prepotente schiera d’insegnanti a millecinquecento euro al mese, polverosi come i loro libri, che, nascondendosi all’ombra dei gesti di scherno di cui li rendono oggetti studenti e genitori, preservano avidamente il loro potere occulto e i loro mirabolanti tesori, attendendo solo  il giorno della conquista del mondo.
L’esempio russo insegna: bisogna partire dalla base, non certo dall’università; bisogna fermare l’insorgere di coscienze critiche alla sorgente, non basta sperare nell’inerzia intellettiva delle nostre nuove generazioni, nonostante l’ottimo livello di paralisi cognitiva ottenuto attraverso televisione, politica del gossip e controllo dell’informazione. In più, nessuno ancora si sbilancia sui contenuti effettivi della nuova scolarizzazione emancipata dal sapere. La necessità di intervenire in modo più deciso sulla formazione dei futuri cittadini-sudditi-zimbelli è, ormai, avvertita trasversalmente: da più parti si sente parlare di materie come “evasione fiscale”, “gestione dell’associazione a delinquere”, “educazione al clientelismo”, “scienze dell’appropiazione indebita”. Naturalmente, bisogna rivedere anche i metodi di giudizio: basta con griglie valutative e collegi di classe, che la valutazione si faccia a suon di pompini e palpeggiamenti. Si prospetta, altrimenti, una scuola separata dalla realtà, che sforna giovani con poche possibilità di riuscire nella vita e, peggio ancora, che rischiano di indignarsi e denunciare certi metodi come immorali.
La chiave di volta di questo processo è una sola e molto semplice: far passare il concetto che la cultura è inutile, che non produce ricchezza e che non è altro che il residuo stantio e andato a male di una società democratica e basata su coscienza e partecipazione. Un concetto che sembrerebbe, seppur lentamente, si stia affermando e cominci a innervare strati diversi della società italiana. Ma è una battaglia silenziosa che deve andare avanti e che ha ancora molta strada davanti a sé: finché anche l’ultima delle menti libere non sarà stata plasmata per pensare in termini di comodità, convenienza e fregna, nessuno di noi potrà mai ritenersi al sicuro.

Sophia Belbo

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