mercoledì 20 aprile 2011

Un Paquito Pantano vale l'altro, nei secoli dei secoli



Il 23 giugno di qualche anno fa mi trovavo in cammino verso Santiago de Compostela. Quel pellegrinaggio, che intrapresi laicamente, seguiva da Siviglia la vecchia ruta de la plata e poi virava verso la Galizia. Ma a quella data mi trovavo ancora nella provincia zamorana e, avido di oltrepassare i confini regionali, marciai più del dovuto. Alle sei della sera cominciavo a costeggiare il grande Lago de Sanabria, d'origine glaciale, nel mezzo di un grande parco naturale. Sentendo che la stanchezza delle gambe cominciava a mutarsi in dolore e temendo di essere colto da un momento all'altro dal crepuscolo, mi affrettai a cercare un riparo per la notte. Chi conosce i ritmi del pellegrino sa che questo comincia a marciare la mattina presto e si ferma già ad ora di pranzo in un albergo segnato dalla conchiglia dell'apostolo. Dopo quell'ora, è difficile trovarvi un posto libero. E io, per la mia ingordigia di chilometri, mi trovavo esattamente in quella condizione: nessun letto disponibile. Mi spinsi ancora un poco oltre, fino al villaggio più vicino. Arrivato a Ribadelago cominciai a bussare alle porte delle case, come un mendicante, chiedendo ospitalità. Ma nessuno si fidava della mia faccia sporca e macchiata dal sole. Vedendomi in difficoltà, un uomo non molto più vecchio di me mi consigliò di andare a cercare aiuto nel vicino Ribadelago de Franco, dove avrei potuto approfittare di alcune case da sempre inabitate. Vi andai e rimasi stupito da questo luogo, del tutto incoerente rispetto al paesaggio di quella zona. La case infatti erano bianche come a Granada e non erano coperte da tetti di lavagna. Era un paese talmente avulso dal resto del paesaggio che rabbrividii. Ma incontrai un vecchio pronto a rassicurarmi e ad offrirmi un piatto caldo e un letto dove riposare. La cena con il pensionato e sua moglie trascorse serena. Eppure notai che il vecchio rivolgeva ripetutamente ansiosi sguardi all'orologio della sala, come se aspettasse qualcuno o qualcosa. Finito di mangiare, mancavano venti minuti alla mezzanotte quando mi invitò a spostarci sul piccolo balcone che affacciava verso il lago, mentre sua moglie ci serviva una infusione digestiva. Man mano che si avvicinava la mezzanotte del 24 giugno, egli parlava meno e si limitava a commentare brevemente quello che io dicevo. Ma quando mancavano pochi secondi al cambio di data, mi fece cenno di smettere di parlare e disse: ¡Oye! Mi concentrai e ascoltai. Sentii soltanto il suono di alcune campane, in lontananza. Non mi stupii di questo, poiché è consuetudine dei paesi cattolici che le campane suonino ad ogni ora. Ma di quei rintocchi sentivo solo l'eco, come se nessun campanile li stesse emettendo realmente. Allora il vecchio cominciò a raccontare con tono basso e ritmo lento che in un tempo remoto di cui nessuno poteva avere memoria quel lago non esisteva e laddove oggi c'è il suo abisso più profondo sorgeva un villaggio. All'alba di due giorni dopo un solstizio d'estate giunse al villaggio un mendigo vestito di stracci e sostenuto da un bastone chiedendo ospitalità agli abitanti, ma nessuno di essi volle accoglierlo. Arrivò al forno e vide che si stava cuocendo il pane. Mendicò allora una pagnotta e la donna acconsentì a cuocerne una in più. E quel pane lievitò a dismisura, raggiungendo delle proporzioni enormi. Senza ringraziare, il mendicante ordinò alla donna di abbandonare il villaggio con la sua famiglia prima che tornasse la notte e disse che era per la sua generosità. Poi l'uomo sparì e la donna obbedì. Alla mezzanotte successiva, al cominciare del giorno di San Giovanni, il mendicante si trovava nella piazza del villaggio, nell'abisso più profondo, e schiantò il suo bastone nel suolo. La terra prima crepitò, poi gemette, quindi gridò. Si crepò, si aprì, e dalle fenditure cominciò a salire dell'acqua, prima a zampilli, poi a flotti, quindi con immensi vigore e violenza. Il villaggio fu allora sommerso per la sua avarizia e la sua diffidenza.
Da allora, ogni anno, alla mezzanotte del giorno di San Giovanni e solo in quel momento, si udiva il rintocco delle campane. Il vecchio tacque, guardando il lago. Le campane avevano smesso di suonare. Dopo la sua pausa, l'uomo mi disse che da sempre, da quando avesse memoria, il 23 giugno giungeva a Ribadelago un mendicante, un pellegrino, un viandante per chiedere asilo. E siccome nessun altro voleva accoglierlo, ogni volta egli apriva le porte della sua casa. Nessun altro, a parte lui stesso e il viandante, aveva mai udito i rintocchi della campane.
La moglie dell'uomo ci raggiunse con l'aria di conoscere l'argomento della nostra conversazione. Mi disse: «Esa es la leyenda. Luego está la crónica.» Mi spiegò allora che negli anni Quaranta del Novecento il dittatore Francisco Franco intraprese in Spagna un programma di costruzione di varie dighe per la produzione autonoma di energia, il che valse al generale il soprannome di Paquito Pantano (Paquito come diminutivo di Francisco, Pantano come sinonimo di 'lago'). Lungo il corso del fiume che precedeva il Lago de Sanabria fu costruita la diga di Vega de Tera, che creava un altro invaso. Nei giorni 8 e 9 del gennaio 1959 si riversarono sulla zona piogge torrenziali di straordinaria portata e nella notte del 9 gennaio la temperatura scese fino a 18 gradi sotto lo zero. Le piogge eccezionali, il freddo e soprattutto la cattiva qualità della costruzione della barriera fecero sì che pochi minuti prima della mezzanotte del 10 gennaio si aprisse nella diga una breccia alta 140 metri. Un flusso d'acqua di 8 milioni di metri cubi e alto 9 metri investì per circa 14 minuti il paese di Ribadelago, spazzandolo via e provocando 144 morti tra i 549 abitanti. Di quei cadaveri furono recuperati solo 28. In seguito alla tragedia, Franco decise di costruire un nuovo insediamento, poco distante dal precedente, che oggi conserva il nome di Ribadelago de Franco, dove io mi trovavo.

Dr. Zapotec

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